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a pubblicazione del DM 2 marzo 2018 dovrebbe sbloccare l’avvio della produzione di biometano, con potenzialità tutt’altro che trascurabili. Nell’ipotesi di trasformare in biometano le quantità attualmente disponibili di scarti agricoli, reflui zootecnici, frazione organica dei rifiuti urbani e fanghi di depurazione delle acque, si valuta a regime una produzione di circa 4 miliardi di Sm3/anno di biometano.  Un ulteriore incremento potrebbe derivare da una maggiore quota di raccolta differenziata (che attualmente supera di poco il 50%), arrivando a generare ulteriori 2 miliardi di Sm3/anno. Si tratta di potenzialità il cui effettivo sfruttamento sarà possibile in tempi medio-lunghi, dal momento che sono richiesti investimenti in nuovi impianti di digestione e di trattamento del biogas.

 

Il biometano: perché, come, da quali fonti  

Il gas naturale è tra le più utilizzate risorse energetiche di origine fossile: gioca un ruolo fondamentale nella produzione di energia elettrica, di calore per il riscaldamento e per la cottura dei cibi e come combustibile per l’industria e i trasporti. La maggior parte del gas naturale è estratta da grandi giacimenti localizzati in poche aree del Pianeta: più del 50% del gas proviene da USA e Russia. Per soddisfare il proprio fabbisogno, l’Europa ne importa circa il 70%; l’Italia più del 90%, prevalentemente da Russia e Algeria.

La lotta ai cambiamenti climatici spinge l’umanità verso un minor uso (tendenzialmente, la rinuncia) dei combustibili fossili, ma per alcuni Paesi, come il nostro, un altro effetto benefico è una minore dipendenza energetica. Anche il gas naturale può essere, almeno in parte, sostituito da un suo omologo rinnovabile: il biometano.

Il biometano è definito come metano prodotto da biomassa, con caratteristiche del tutto simili a quelle del gas naturale: è quindi perfettamente trasportabile sfruttando le medesime infrastrutture (reti di trasporto e di distribuzione, sistemi di misura) del gas naturale, estremamente diffuse e sviluppate, senza rilevanti investimenti e in tempi molto brevi.

Può essere prodotto con diversi processi, di cui il più comune e già applicato parte dalla fermentazione anaerobica (digestione da parte di specifici batteri) di biomasse coltivate o di scarto, della parte organica dei rifiuti (FORSU), dei fanghi di depurazione delle acque.

Tipicamente il biogas contiene dal 50 al 75% di metano, il resto è costituito soprattutto da anidride carbonica e piccole quantità di altre sostanze. Ottenere il biometano significa rimuovere tutte le altre sostanze presenti nel biogas, tramite processi detti di “upgrading”. Al termine si ottiene quindi del metano di discreta purezza, adatto a essere immesso nelle reti gas e ad essere utilizzato, senza rischiare danni agli impianti né alla salute umana.

Esistono diverse tecniche di upgrading, che sfruttano differenze di comportamento chimico-fisico fra il metano e l’anidride carbonica, impiegando una modesta quantità di energia elettrica e/o termica. I processi commerciali più ampiamente utilizzati sono:

  • adsorbimento della CO2 su setacci molecolari tramite incremento della pressione; successivamente la pressione viene ridotta, producendo il rilascio della CO2; il processo è chiamato Pressure Swing Adsorption (PSA), perché sfrutta variazioni di pressione;
  • absorbimento fisico con acqua o solventi organici in pressione, sfruttando la maggior solubilità della CO2 rispetto al metano. La rigenerazione del fluido ricco di CO2 si effettua mediante riduzione della pressione;
  • absorbimento chimico con ammine, che prevede la dissoluzione fisica della CO2 all’interno del liquido di lavaggio seguita dalla reazione chimica tra il gas absorbito e l’ammina. La rigenerazione del sorbente si ottiene aumentando la temperatura;
  • separazione con membrane, che presentano una permeabilità più elevata alla CO2 rispetto al metano;  
  • separazione criogenica, che sfrutta la  differenza tra le temperature di condensazione del metano (-160°C a pressione atmosferica) e della CO2 (-78°C a pressione atmosferica).

RSE ha sviluppato un processo di cattura della CO2basato su sorbenti solidi, che presenta interessanti vantaggi energetici.

 

Produrre biometano è una soluzione efficiente?

La digestione anaerobica è un processo di semplice gestione e molto affermato per lo sfruttamento di numerose categorie di biomasse, scarti e rifiuti. Oggi è ampiamente sfruttato per ottenere biogas e da questo energia elettrica che viene immessa in rete. Da un punto di vista energetico, vale la pena di applicare un ulteriore processo di “raffinazione” del biogas e ricavarne il biometano da immettere nella rete gas? la risposta è CERTAMENTE SI se si considera la reale situazione odierna, nella quale il potere calorifico del biogas viene convertito in energia elettrica con un’efficienza del 40% circa, mentre la restante energia, in teoria utilizzabile in modo quasi completo sotto forma di calore, viene in realtà sfruttata in misura modesta (11% circa del potere calorifico in ingresso), essendo scarse le opportunità di uso del calore nei luoghi di produzione. A conti fatti, tenendo conto delle perdite di rete elettrica, e dell’efficienza del parco termoelettrico a ciclo combinato, 1 m3 di metano contenuto nel biogas si traduce nel risparmio di circa 0,84 m3 di gas naturale di origine fossile, mentre lo stesso m3 di metano contenuto nel biogas, una volta raffinato e tenendo quindi conto dei consumi energetici richiesti da tale operazione, sostituisce 0,94 m3di gas naturale. La seconda opzione conduce quindi a un beneficio energetico del 13% superiore.

 

Il biometano favorisce le rinnovabili elettriche?

Apparentemente NO, sembrerebbe una soluzione in concorrenza con le rinnovabili elettriche, in quanto sfrutta (con vantaggio, come si è visto) alcuni tipi di biomasse per produrre un biocombustibile anziché energia elettrica. In realtà SI: un’opzione molto valida è quella di abbinare ad un digestore, che produce biogas, sia un motore a combustione interna, in grado di produrre calore ed energia elettrica, sia un impianto di upgrading che produce biometano. Questa configurazione è in grado di sfruttare costantemente la produzione del digestore (il cui processo opera su tempi lunghi ed è poco modulabile), passando in pochi minuti dalla massima produzione elettrica a zero e viceversa. L’impianto sarebbe quindi in grado di fornire al sistema elettrico servizi di regolazione e bilanciamento piuttosto rapidi, come si rende necessario nel caso di una forte presenza di rinnovabili elettriche non programmabili (solare ed eolico). Ma  la cosa davvero interessante è che l’impianto in grado di svolgere questi essenziali servizi di flessibilità è esso stesso a emissioni nette di CO2 prossime a zero.

 

Quanto biometano si riuscirà a produrre in Italia?

Finora, in Italia, lo sviluppo della produzione di biometano è stato condizionato soprattutto dalle incertezze in campo normativo, regolatorio e legislativo. Nel periodo 2013-2016 sono stati realizzati solo quattro impianti, di limitata capacità, realizzati nell’ambito di progetti di ricerca e sviluppo tecnologico. In attesa del nuovo decreto biometano, pubblicato all’inizio del 2018 (DM 2 marzo 2018 - Promozione dell’uso del biometano nel settore dei trasporti), sono stati avviati pochi progetti di taglia industriale, prevalentemente alimentati a FORSU, essendo questo l’unico tipo di dieta che potesse garantire ragionevoli tempi di ritorno degli investimenti in impianti di produzione di biometano nello schema di incentivazione previsto dal primo decreto biometano del 2013. Proprio un’azienda di questo settore, la Montello SpA di Montello (Bergamo), è stata la prima in Italia, nell’estate del 2017, a immettere biometano nella rete di trasporto di Snam Rete Gas.

La pubblicazione del DM 2 marzo 2018 dovrebbe sbloccare l’avvio della produzione di biometano, con potenzialità tutt’altro che trascurabili. Nell’ipotesi di trasformare in biometano le quantità attualmente disponibili di scarti agricoli, reflui zootecnici, frazione organica dei rifiuti urbani e fanghi di depurazione delle acque, si valuta a regime una produzione di circa 4 miliardi di Sm3/anno di biometano. Un ulteriore incremento potrebbe derivare da una maggiore quota di raccolta differenziata (che attualmente supera di poco il 50%), arrivando a generare ulteriori 2 miliardi di Sm3/anno. Si tratta di potenzialità il cui effettivo sfruttamento sarà possibile in tempi medio-lunghi, dal momento che sono richiesti investimenti in nuovi impianti di digestione e di trattamento del biogas.

Vale la pena di rilevare che la frazione organica (umido + verde) oggi raccolta viene utilizzata solo per circa un terzo in processi di digestione anaerobica. Ciò rappresenta un importante spreco di energia rinnovabile che potrebbe, con  tecnologie disponibili e mature, essere recuperata. L’incentivazione del biometano rappresenta oggi la migliore opportunità per mettere a frutto ciò che la raccolta differenziata rende disponibile.

Una produzione potenziale dai 4 ai 6 miliardi di Sm3/anno non solo andrebbe a coprire una quota compresa tra il 6 ed il 9% del gas naturale attualmente consumato in Italia, ma soddisferebbe con ampio margine la quota di consumo per l’autotrazione (oggi circa 1 miliardo di Sm3/anno). Nell’ipotesi di un aumento dell’impiego di metano per autotrazione, 4 miliardi di Sm3/anno di biometano soddisferebbero il 10% del fabbisogno italiano di carburanti. Inoltre, si eviterebbe l’emissione di 8-12 Mt/anno di CO2(dal 2,5 al 3,8% delle attuali emissioni italiane totali).

 

La logistica del biometano: dalla produzione al consumo

Esistono diverse possibilità per convogliare il biometano dal luogo di produzione all’utente finale. Il biometano può essere immesso nelle tradizionali reti di trasporto e distribuzione del gas naturale, i cui gestori hanno l’obbligo di connessione di soggetti terzi. Questa soluzione è vantaggiosa se la distanza tra l’impianto di produzione e la rete del gas non è eccessiva. Un’alternativa è rappresentata dal trasporto su strada di gas compresso, mediante carri bombolai, o liquefatto (serbatoi criogenici). Dal momento che il decreto che incentiva il biometano è finalizzato all’utilizzo come carburante per i veicoli, il punto di consegna finale  è rappresentato da distributori di carburanti, ad uso pubblico o privato, a cui il metano può pervenire tramite la rete (e in questo caso si tratterà di una consegna “virtuale”, non potendo essere fisicamente lo stesso gas immesso dal produttore), o tramite mezzi di trasporto su ruote, in forma gassosa o liquefatta.

L’individuazione del più opportuno punto di allacciamento di un impianto di produzione di biometano ad un gasdotto richiede la valutazione di vari fattori, come la distanza, la pressione di ingresso, i volumi da convogliare. In linea di massima le reti di trasporto, caratterizzate da alte pressioni ed elevate portate, sono quelle che offrono la maggior ricettività del prodotto, tenendo conto dei volumi convogliati e della taglia media degli impianti di produzione di biometano. Più critica potrebbe essere, invece, l’immissione del biometano in reti di distribuzione a pressione intermedia o bassa. In presenza di un’utenza locale prevalentemente residenziale o terziaria, infatti, nelle stagioni in cui la domanda di gas per il riscaldamento è assente, il gestore potrebbe trovarsi in difficoltà nel garantire con continuità la ricezione del biometano. Solo con interventi strutturali sulle attuali reti, come la magliatura di più reti di distribuzione, la modulazione della pressione di rete in funzione dei consumi effettivi e l’introduzione di connessioni bidirezionali fra reti a pressione diversa, sarà possibile superare completamente queste limitazioni. Nell’attesa di questi adeguamenti, i produttori di biometano potranno avvalersi di carri bombolai per convogliare il prodotto verso  hub di raccolta ed immissione in rete di trasporto o direttamente verso le stazioni di servizio. Si tratta di una soluzione consolidata nel nostro paese, dove questi mezzi sono già oggi utilizzati per il trasporto di gas naturale, per esigenze occasionali ovvero per alimentare distributori collocati lontano da gasdotti a media o alta pressione. I produttori che trattano FORSU, o le aziende agricole più grandi, potrebbero inoltre prendere in considerazione anche l’utilizzo del biometano sul posto, almeno in parte, come biocarburante per i propri mezzi.

Un’opzione di particolare interesse per il futuro è anche quella della liquefazione del biometano, che potrebbe così trovare impiego come il gas naturale liquefatto (GNL) nel trasporto pesante su strada e nel trasporto navale, settori dove anche in prospettiva il gas non dovrebbe risentire della concorrenza della mobilità elettrica.

 

Normative tecniche

L’immissione del biometano nella rete gas, che alimenta un grandissimo numero di utenti domestici e aziendali, richiede notevoli cautele ai fini di non causare rischi per la salute o danni agli impianti dei clienti. E’ stato quindi necessario emettere una serie di norme tecniche. Da alcuni mesi è finalmente disponibile l’insieme delle norme europee sulla qualità del biometano destinato all’immissione in rete o all’utilizzo come carburante per autotrazione. Le principali caratteristiche chimico fisiche che il biometano deve soddisfare sono definite nel primo caso dalle norme UNI EN 16726: 2016 e UNI EN 16723-1:2016, mentre la UNI EN 16723-2:2017 è dedicata all’utilizzo sia del biometano sia del gas naturale come carburante per autotrazione. Il quadro normativo sul biometano è completato a livello nazionale dal rapporto tecnico UNI TR 11537:2016, che tratta l’odorizzabilità, tema di competenza strettamente nazionale.

 

Incentivi

A livello legislativo, dopo che il primo decreto di incentivazione del biometano del 2013 era rimasto sostanzialmente senza applicazione, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha  pubblicato nel marzo 2018 un nuovo decreto che rimuove alcune delle criticità emerse dal precedente. L’Autorità per Energia (ARERA) ha immediatamente avviato con la Delibera 173/2018/R/gas il procedimento per l’attuazione delle disposizioni del nuovo decreto. Il decreto di marzo 2018 promuove esclusivamente l’impiego del biometano in autotrazione, premiando soprattutto il “biometano avanzato”, ottenuto a partire dalle materie elencate nell’Allegato 3 parte A del decreto. Si tratta in linea di massima della frazione organica dei rifiuti e di biomasse derivanti da scarti agricoli e zootecnici. Viene garantito ai produttori, per un periodo massimo di dieci anni, il ritiro e la remunerazione del prodotto, ed inoltre il riconoscimento di 375 euro per ciascun Certificato di Immissione al Consumo (CIC). Ulteriori incentivazioni sono previste nel caso in cui il gas sia immesso al consumo in nuovi impianti di distribuzione stradale pertinenti all’impianto di produzione del biometano. Il nuovo decreto prevede inoltre condizioni più favorevoli per la riconversione degli impianti a biogas con produzione elettrica già esistenti e incentivazioni specifiche per la liquefazione del biometano.

Il numero delle richieste di allacciamento alla rete di trasporto e dei contratti già stipulati, comunicati recentemente da Snam Rete Gas, confermano il crescente interesse nazionale nei confronti del biometano. Le manifestazioni di interesse provengono ancora principalmente dalle aziende che trattano FORSU, ma crescono anche le richieste dal mondo agricolo. Il nuovo decreto dovrebbe quindi consentire di ottenere i vantaggi energetici e di flessibilità prima citati, associati alla produzione di biometano. Il biometano dovrebbe inoltre dare un contributo decisivo a soddisfare gli impegni presi dall’Italia a livello europeo sulle quote di biocarburanti avanzati da immettere in consumo nei prossimi anni.

 

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